Questa è la storia di un gruppo di giovani studenti di ingegneria , di un professore dal cuore impavido e dalla visione lungimirante, e un’occasione, un incontro casuale ad un Congresso in Ungheria.

Sono ragazzi molto giovani,  iscritti all’ultimo anno del corso di laurea magistrale in ingegneria dei Materiali dell’Università di Trento, e sono Massimiliano Tomaselli, Giovanni Spiaggia, Michele Perenzin, Ethan Debattisti, Davide Bottone, Francesco Baggio, Davide Ambrosi e Luca Durante. La voglia e la freschezza dell’età ha permesso loro di appassionarsi ad un progetto innovativo ed umanitario allo stesso tempo.

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Infatti, fù in occasione di quel Congresso che il professor Claudio Migliaresi incontrò un collega che gli propose di partecipare ad un progetto di volontariato per la realizzazione di protesi di mani per bambini del sud- est asiatico. Contattato telefonicamente, il professore ci racconta che in Paesi come Vietnam e Laos si riscontra una consistente richiesta di mani prostetiche poiché i bambini del luogo devono far fronte a problemi come malformazioni di natura genetica, amputazioni per incidenti lavorativi (c’è ancora una grossa presenza di lavoro minorile in queste nazioni) e/o dovuti alla presenza di mine antiuomo nel territorio (spesso a forma di giocattolo) che tuttora danneggiano o addirittura distruggono il futuro di questi bambini . Chi perde una mano, chi perde un dito, chi entrambe le mani, insomma l’incidenza di mutilazione nei piccoli è molta alta, ed il costo sanitario per la fornitura di protesi non è accessibile ai di più. E così il progetto di cui vi sto raccontando, riuscire a produrre protesi ad un costo molto basso, parliamo circa di 25 – 50 dollari cadauna, ma soprattutto riuscire a personalizzare i prodotti. Ovviamente le necessità e gli sviluppi sono molti differenti tra di loro, ogni bambino potrebbe in questo modo ricevere la propria protesi fatta su misura, ma non solo se consideriamo l’età,  vien da sé che i bambini crescono e le protesi debbano essere sostituite nel corso degli anni, ecco perché il costo molto basso è di particolare importanza, sottolinea il professore. Ma come si ottiene questo? Facile, utilizzando delle stampanti 3D, con la tecnica della manifattura additiva ed utilizzando dei particolari tipi di polimeri, materiali molto duraturi e resistenti ma allo stesso tempo versatili ed adattabili, tanto che è possibile pensare a protesi, dove si riesca a muovere le dita. Migliaresi ci racconta che questo tipo di progetto non è nuovo, ma forse l’unico in Italia, infatti la rete internazionale, fondata nel 2013 al Rochester Institute of Technology (Stati Uniti), oggi conta migliaia di persone e finora ha realizzato e fornito gratuitamente in 37 Paesi circa 1.500 mani in 3D,  soprattutto per bambini.

Per ora il gruppo di giovani ha prodotto due protesi complete. La prima ha permesso di capire quali erano i punti strutturalmente deboli che sono stati migliorati, la seconda è stata quindi perfezionata e rispecchia il modello che si vuole  di produrre in maggior quantità. Il professor Migliaresi conclude confessandoci: “Sono contento che gli studenti si siano inseriti in questa associazione internazionale che ha il merito di mettere in rete talenti individuali di varie nazionalità e di coniugare sviluppo scientifico e azione umanitaria”.

L’obbiettivo per il futuro, riuscire ad insegnare ai locali ad auto produrre le protesi, ma soprattutto espandere questa rete di solidarietà, trovando sponsor e donatori che permettano di portare avanti questo progetto coprendo le spese future per la continua ricerca ed il miglioramento sia estetico che funzionale delle protesi.

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